L’obbligo di informazione ed il consenso Informato del paziente

Quali sono gli obblighi informativi del medico e dei sanitari nei confronti del paziente? Quali sono le conseguenze in caso in caso di inadempimento degli obblighi di informazione? Cosa si intende per consenso informato? Chi lo deve dare? Quando deve esser dato? Quanto dura?

La Relazione n. 157 della Corte Suprema di Cassazione definisce e approfondisce tali profili. Vediamoli.

“…. Si è detto che per la giurisprudenza il chirurgo è in colpa quando viola, ignora o applica male le regole tecniche elaborate dalla comunità scientifica per l’esecuzione dell’attività diagnostica e terapeutica.

Tuttavia una colpa del chirurgo può sorgere non solo dalla violazione delle leges artis (o guidelines), ma anche dalla violazione dell’obbligo di informare il paziente in merito ai rischi, ai vantaggi, alle alternative dell’intervento.

Fondamento e limiti di tale colpa per negligenza sono ormai consolidati nella giurisprudenza, e possono così riassumersi:

  • l’obbligo di informazione scaturisce da un set di fonti normative diverse: dagli 2, 13 e 32 della costituzione; dall’art. 5 della Convenzione sui diritti umani e la biomedicina, adottata dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa il 19.11.1996,  ed aperta alla firma il 4.4.1997 (non ancora attuata dall’Italia), il quale stabilisce che “un intervento nel campo della salute può essere effettuato dopo che la persona interessata ha dato un  consenso libero ed informato. La persona interessata può liberamente revocare il consenso in qualsiasi momento”; dagli artt. da 33 a 39, e dall’art. 16, del “Codice di deontologia medica”, approvato dalla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici chirurghi ed odontoiatri il 16.12.2006;
  • il consenso all’atto medico non costituisce rimozione di un ostacolo all’esercizio di un’attività (quella medica) altrimenti illecita, ma rappresenta esercizio di un diritto di libertà; esso, pertanto, è necessario per qualsiasi intervento medico, sia esso di diagnosi o di cura (tali princìpi sono pacificamente affermati dalla S.C. a partire dalla sentenza 12.1968 n. 3906, in seguito sempre conforme: da ultimo in tal senso si vedano Cass. 28.11.2007 n. 24742; Cass. 2.7.2010 n. 15698).

Perché la volontà del paziente di consentire all’intervento medico possa dirsi liberamente formata, è necessario che il paziente stesso abbia ricevuto una informazione completa e dettagliata. L’informazione fornita deve comprendere, in particolare:

  • la natura dell’intervento o dell’esame (se sia cioè distruttivo, invasivo, doloroso, farmacologico strumentale, manuale, );
  • la portata e l’estensione dell’intervento o dell’esame (quali distretti corporei interessi);
  • i rischi che comporta, anche se ridotti (come effetti collaterali, indebolimento di altri sensi od organi, );
  • la percentuale verosimile di successo;
  • la possibilità di conseguire il medesimo risultato attraverso altri interventi, ed i rischi di questi ultimi (in questo senso, ex multis, Cass. 25.11.1994 n. 10014, in Foro it., 1995, I, 2913 cit., e 15.1.1997, n. 364, in Foro it., 1997, I, 771);
  • le eventuali inadeguatezze della struttura ove l’intervento dovrà essere eseguito (Cass. 7.2003 n. 11316).

In altri termini, il paziente deve essere messo concretamente in condizione di valutare ogni rischio ed ogni alternativa: “nell’ambito degli interventi chirurgici, in particolare, il dovere di informazione concerne la portata dell’intervento, le inevitabili difficoltà, gli effetti conseguibili e gli eventuali rischi, sì da porre il paziente in condizioni di decidere sull’opportunità di procedervi o di ometterlo, attraverso il bilanciamento di vantaggi e rischi. L’obbligo si estende     ai rischi prevedibili e non anche agli esiti anomali, al limite del   fortuito (...), non potendosi disconoscere che l’operatore sanitario deve contemperare l’esigenza di informazione con la necessità di evitare che il paziente, per una qualsiasi remotissima eventualità, eviti di sottoporsi anche ad un banale intervento” (Cass. 15.1.1997 n. 364, in Foro it., 1997, I, 771; ma in senso sostanzialmente conforme, si vedano già Cass. 26.3.1981 n. 1773 e Cass. 9.3.1965 n. 375, in Foro it. 1965, I, 1040).

La Corte di Cassazione ha dunque posto limiti rigorosi all’obbligo di informazione: esso comprende tutti i rischi prevedibili, anche se   la loro probabilità è minima;  mentre     non          comprende i                 rischi anomali, cioè quelli che possono essere ascritti solo al caso fortuito. È quindi in colpa (da inadempimento contrattuale) sia il medico   che non fornisca al paziente le necessarie informazioni, sia quello   che le fornisca in modo insufficiente, sia quello che le fornisca in modo errato (Cass. 28.11.2007 n. 24742).

Deve aggiungersi che, in materia di completezza dell’informazione fornita al paziente, la giurisprudenza di legittimità ha distinto tra intervento a fini funzionali ed intervento di chirurgia estetica.

Nel primo caso, il paziente deve essere informato soprattutto sui possibili rischi dell’operazione; nel secondo caso, invece, il paziente deve essere informato sulla effettiva conseguibilità di un miglioramento fisico (Cass., 12-06-1982 n. 3604, in Giust. civ., 1983, I, 939). Pertanto, nel caso di chirurgia estetica, l’informazione da fornire deve essere assai più penetrante ed assai più completa (specie con riferimento ai rischi dell’operazione) di quella fornita in occasione di interventi terapeutici (Cass. 08-08-1985 n. 4394, in Foro it., 1986, I, 121).

Il consenso, inoltre, deve essere continuato.  Esso non può essere prestato una tantum all’inizio della cura, ma va richiesto e riformulato per ogni singolo atto terapeutico o diagnostico, il quale  sia suscettibile di cagionare autonomi rischi. La Corte Suprema è stata su questo punto molto chiara: “è noto che interventi  particolarmente complessi, specie nel lavoro in équipe, ormai normale negli interventi chirurgici, presentino, nelle varie fasi, rischi specifici e distinti. Allorché tali fasi assumano una propria autonomia gestionale e diano luogo, esse stesse a scelte operative diversificate, ognuna delle quali presenti rischi diversi, l’obbligo di informazione si estende anche alle singole fasi e ai  rispettivi rischi” (Cass. 15.1.1997 n. 364, in Foro it. 1997, I, 771).

A tale regola si fa eccezione nel caso di interventi urgenti, anche quando l’urgenza non sia assoluta: in tal caso, il consenso consapevole prestato dal paziente che si considera implicitamente esteso anche alle operazioni “complementari”, qual è quella di sostegno, durante l’intervento, delle risorse ematiche del paziente, che siano assolutamente necessarie e non sostituibili con tecniche più sicure (Cass. 26.9.2006 n. 20832).

Molto delicato è il problema di chi debba dare il consenso all’atto medico.

Per essere efficace, il consenso all’attività medica deve essere prestato da soggetto capace di intendere e di volere. Quando il paziente è legalmente e naturalmente capace, soltanto lui è titolare del potere di consentire o rifiutare l’intervento. La giurisprudenza ha radicalmente escluso che, quando il paziente sia capace di intendere e di volere, il consenso all’intervento possa essere richiesto ai congiunti più stretti (ad esempio, al fine di evitare traumi al malato): perciò non sarà responsabile il medico che esegua una terapia necessaria ma non voluta dal paziente, quando il dissenso di quest’ultimo non era né noto, né presumibile al medico (Cass. 23.2.2007 n. 4211).

Per il soggetto legalmente incapace, il consenso deve essere prestato da chi ne ha la rappresentanza legale (il genitore od il tutore).

Il consenso non può tuttavia essere prestato dal soggetto che, pur legalmente capace, si trovi in concreto in stato d’incapacità di  intendere e di volere (Cass. 6.12.1968 n. 3906, in Resp. civ. prev. 1970, 389). In quest’ultimo caso, qualora vi sia l’urgenza e l’indifferibilità di un trattamento terapeutico anche rischioso, il medico non andrà tuttavia incontro a responsabilità di sorta per avere omesso di informare il paziente, in quanto la sua condotta sarebbe comunque giustificata dalla necessità di evitare un danno grave alla salute od alla vita del paziente, ai sensi dell’art. 54 c.p.

Va segnalato comunque che la Suprema Corte, sul punto qui in esame ha, sensibilmente ridotto l’area di responsabilità del medico, stabilendo           che la mancanza del consenso del paziente al trattamento sanitario è irrilevante non soltanto quando il medico abbia agito in stato di necessità ex art. 54 c.p., ma anche quando questo stato di necessità, oggettivamente inesistente, sia stato  soltanto  supposto dal medico, senza sua colpa (Cass. 23.2.2007 n. 4211; Cass., 15.11.1999 n. 12621).

Una significativa evoluzione della giurisprudenza di legittimità, in    senso meno gravoso per il medico convenuto in giudizio, si è registrata sul delicato problema delle conseguenze della violazione dell’obbligo di informazione.

Secondo l’orientamento giurisprudenziale a lungo dominante, nel caso di omessa informazione del paziente il medico rispondeva dell’insuccesso dell’intervento, anche se in concreto non fosse a lui addebitabile alcuna colpa (Cass. 14.3.2006 n. 5444; Cass. 24.9.1997 n. 9374, in Resp. civ. prev. 1998, 78).

Questo orientamento, che aveva ricevuto non poche critiche in dottrina (in quanto consentiva la condanna del medico anche in assenza della prova di un valido nesso di causalità tra omissione e danno) è stato di recente abbandonato. La Suprema Corte, infatti, ha rivisto le proprie posizioni al riguardo, ritenendo che in presenza di un atto terapeutico necessario e correttamente eseguito secondo le leges artis, dal quale siano tuttavia derivate conseguenze dannose per la salute, il medico che abbia violato l’obbligo di informazione può essere chiamato a risarcire il danno alla salute patito dal paziente  solo se questi dimostri che, se fosse stato compiutamente informato, avrebbe rifiutato l’intervento, non potendo altrimenti ricondursi all’inadempimento dell’obbligo di informazione alcuna rilevanza causale sul danno alla salute (Cass. 9.2.2010 n. 2847) …”.

 

Articolo Tratto dalla Relazione n. 157 del 4.09.2012 della Corte Suprema di Cassazione - Ufficio del Massimario e del Ruolo

“LA RESPONSABILITÀ CIVILE E PENALE DEL CHIRURGO
NELLA GIURISPRUDENZA DI LEGITTIMITÀ”

a cura dei Redattori dott. Luigi Cuomo e dott. Marco Rossetti

 

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