Il nesso di causalità

Quando si può dire esistente un nesso causale tra la condotta del medico e il danno subito dal paziente?

Che cos’è la causalità commissiva? E quella omissiva?  Il paziente ha l’onere di provare il danno subito?

La Relazione n. 157 della Corte Suprema di Cassazione definisce e approfondisce tali profili. Vediamoli.

 

La causalità commissiva.

“ … Nei giudizi di accertamento della responsabilità del chirurgo uno degli snodi cruciali dell’istruzione è spesso l’accertamento di un valido nesso causale tra la condotta del medico e il danno lamentato dal paziente.

Da un lato, infatti, l’opera del chirurgo si innesta di norma su un quadro clinico già compromesso; dall’altro lato la malattia è spesso un fenomeno multifattoriale, concausato da predisposizioni soggettive o concause esterne rispetto all’operato del medico. Di qui la difficoltà di stabilire se il peggioramento delle condizioni di salute possa effettivamente ascriversi eziologicamente alla condotta del sanitario, o se esso piuttosto non si sarebbe verificato in ogni caso.

E tuttavia l’accertamento del nesso di causalità resta, a tutt’oggi, uno degli elementi più tormentati della responsabilità medica.

E’ largamente ricevuto l’insegnamento secondo cui ai fini dell’accertamento della responsabilità del chirurgo occorre accertare un duplice nesso causale: quello tra la condotta illecita e la concreta lesione dell’interesse (c.d. causalità materiale), e quello tra quest’ultima ed i danni che ne sono derivati (c.d.  causalità giuridica). La distinzione fra causalità materiale e giuridica è pacifica nella giurisprudenza della corte di Cassazione (tra le molte sentenze si vedano in particolare Cass., sez. III, 02-02-2001, n. 1516, in Riv. giur. circolaz. e trasp., 2001, 291, e soprattutto la “storica” decisione sul “caso Meroni” resa da Cass. sez. un. 26 gennaio 1971 n. 174)

Secondo questa impostazione, nel caso di responsabilità per danno alla salute in ipotesi derivante da colpa del medico, occorre in primo luogo stabilire se dalla azione od omissione del medico sia derivata una lesione della salute; quindi - in caso affermativo - accertare quali conseguenze dannose (in termini di sofferenza, compromissione della validità psicofisica, pregiudizi patrimoniali) ne siano derivate. L’obbligo risarcitorio sorge dunque allorché siano positivamente accertati tre fatti giuridici (condotta, lesione e danno), legati da due nessi causali (causalità materiale tra la condotta e la lesione, causalità giuridica tra quest’ultima ed il danno).

Secondo la Corte di Cassazione, l’accertamento del nesso di causalità materiale (quello tra condotta ed evento) deve essere compiuto, in qualsiasi branca del diritto, alla luce dei princìpi di cui agli artt. 40 e 41 c.p. Per contro, il nesso di causalità giuridica  (quello tra evento e danno) va accertato in base al principio posto dall’art. 1223 c.c.

In base a questo criterio, la giurisprudenza ha ripetutamente affermato che un valido nesso causale tra condotta e danno può ritenersi sussistente allorché ricorrano due condizioni:

  • che la condotta abbia costituito un antecedente necessario dell’evento, nel senso che questo rientri tra le conseguenze “normali” del fatto (con l’avvertenza che il concetto di “normalità” non coincide con quello di “frequenza”);
  • che l’antecedente medesimo non sia poi neutralizzato, sul piano eziologico, dalla sopravvenienza di un fatto di per sé idoneo a determinare l’evento (Cass. 5.1.2010 n. 25)

Per quanto attiene ai criteri in base ai quali  stabilire  la sussistenza del nesso causale tra condotta illecita e lesione dell’interesse, si afferma che il giudice non deve fare ricorso né alla causalità naturalistica intesa in senso stretto (il che porterebbe a ritenere «causa» di un evento tutta la sterminata serie di precedenti senza i quali il fatto non si sarebbe potuto verificare); né  alla causalità statistica (impossibile da applicare per la mancanza di rilevazioni oggettive); né alla intuizione del giudice,  anche  se fondata sulla logica. Secondo la Suprema Corte, il nesso di causalità va invece accertato “valutando tutti gli elementi della fattispecie, al fine di stabilire se il fatto era obiettivamente e concretamente (cioè con riferimento a quel singolo caso contingente) idoneo a produrre l’evento” (Cass. 30.10.2009 n. 23059; Cass., sez. III, 11-09-1998, n. 9037)

In applicazione di tale principio si è affermato che l’accertamento del nesso causale tra condotta illecita ed evento di danno non è necessaria la dimostrazione di un rapporto di consequenzialità necessaria tra la prima ed il secondo, ma è sufficiente la sussistenza di un rapporto di mera probabilità scientifica. Pertanto il nesso causale può essere ritenuto sussistente non solo quando il danno possa ritenersi conseguenza inevitabile della condotta, ma anche quando ne sia conseguenza altamente probabile e verosimile (Cass. 30.10.2009 n. 23059 la quale ha escluso la sussistenza del nesso causale tra l’incendio scoppiato in un immobile e la morte di una persona ivi residente per edema polmonare acuto, nesso invocato invece dagli eredi della vittima i quali allegavano che lo spavento causato dall’incendio aveva accelerato l’esito letale della malattia; cfr. anche Cass. 26.6.2007 n. 14759)

L’effetto pratico di questa impostazione teorica è che un nesso causale tra la condotta (commissiva) del medico ed il danno lamentato dal paziente può ravvisarsi non solo quando vi sia in tal senso una certezza scientifica, ma anche quando sussista unicamente “un serio e ragionevole criterio di probabilità scientifica”, purché “qualificata” da ulteriori elementi idonei a tradurre in certezze giuridiche le conclusioni astratte svolte in termini probabilistici (Cass. civ., sez. III, 11-11-2005, n. 22894, in Foro it. Rep. 2005, Professioni intellettuali, n. 215).

L’accertamento del nesso causale, da compiere secondo il criterio appena indicato, deve essere preliminare ad ogni altro, ed in particolare a quello della colpa. Ciò vuol dire che il giudice deve accertare separatamente dapprima la sussistenza del nesso causale tra la condotta illecita e l’evento di danno, e quindi valutare se quella condotta abbia avuto o meno natura colposa o dolosa. Sulla base di questo principio è stata ritenuta viziata la decisione la quale aveva escluso il nesso causale per il solo fatto che il danno non potesse essere con certezza ascritto ad una condotta colposa, posto che il suddetto nesso deve sussistere non già tra la colpa ed il danno, ma tra la condotta ed il danno, mentre la sussistenza dell’eventuale errore rileverà sul diverso piano della imputabilità del danno a titolo di colpa (Cass. 26.6.2007 n. 14759).

In sintesi, dunque, in tema di  causalità  commissiva  tra  atto medico e danno al paziente i princìpi affermati dalla Cassazione sono così riassumibili:

  • il nesso eziologico va accertato col criterio della “causalità adeguata”;
  • causalità adeguata vi è ogni qual volta sia “ragionevole” ritenere che la condotta del medico abbia causato il danno;
  • è ragionevole ritenere che la condotta del medico abbia causato il danno quando vi sia in tal senso anche solo una mera probabilità scientifica, corroborata però da ulteriori elementi

Nondimeno, se tali princìpi sono pacifici a livello teorico, è doveroso riconoscere che l’applicazione pratica di essi non sempre  ha condotto a risultati univoci.

Ne è un esempio il caso deciso da Cass. 8.7.2010 n. 16123 nel quale la Corte di Cassazione è giunta ad affermare che essendo il medico “tenuto a espletare l’attività professionale secondo canoni di diligenza e di perizia scientifica, il giudice,     accertata l’omissione di tale attività, può ritenere, in assenza di altri fattori alternativi, che tale omissione sia stata causa dell’evento lesivo e che, per converso, la condotta doverosa, se fosse stata tenuta, avrebbe impedito il verificarsi dell’evento stesso”. In questo caso specifico, pertanto, al paziente non è stato necessario provare  la sussistenza della “probabilità scientifica” d’un valido nesso tra la condotta colposa del medico ed il risultato indesiderato, ma è stato sufficiente dimostrare soltanto la colpa del medico ed il peggioramento del proprio stato, tanto bastando per la  Suprema Corte a ritenere in via presuntiva sussistente il nesso di causalità.

 

La causalità omissiva.

Vari contrasti, in questo caso però recentemente risolti, hanno diviso la giurisprudenza in merito all’individuazione dei criteri di accertamento del nesso di causalità tra la condotta omissiva del medico ed il danno lamentato dal paziente.

Per molto tempo, la giurisprudenza penale del giudice di legittimità si era divisa tra quanti ritenevano che, nel caso di colpa omissiva, l’autore rispondesse del danno quante volte la condotta omessa avrebbe avuto “serie ed apprezzabili possibilità” di evitare il danno e quanti invece esigevano la “certezza ragionevole” che la condotta omessa avrebbe evitato il danno.

Le Sezioni Unite penali della  Suprema Corte,  componendo  il  contrasto medio tempore insorto in seno alle sezioni semplici, hanno abbandonato la vecchia nozione di “serie ed apprezzabili possibilità  di successo”, e sancito per contro l’obbligo di fare ricorso a diversi criteri logici di accertamento del nesso causale, che possono essere così riassunti:

  • per quanto attiene all’accertamento del nesso causale tra omissione e danno, resta valido il ricorso al “giudizio controfattuale”, ossia a quella particolare astrazione consistente nell’ipotizzare quali sarebbero state le conseguenze della condotta alternativa corretta omessa dal medico;
  • per quanto attiene al grado di probabilità, in base al quale stabilire astrattamente se l’effettuazione della condotta omessa avrebbe evitato il danno, occorre avere riguardo non già alla mera “probabilità statistica” desunta da eventuali precedenti, ma al differente concetto di “probabilità logica”, la quale deve essere prossima alla certezza;
  • la “probabilità logica”, a sua volta, va accertata collazionando le probabilità statistiche di successo dell’intervento omesso con tutte le circostanze del caso concreto, quali risultanti dal materiale probatorio raccolto (Cass. un. 11.9.2002 n. 30328)

Al criterio delle “serie ed apprezzabili possibilità di successo”, pertanto, era venuto a sostituirsi quello della “alta o elevata credibilità razionale” del giudizio controfattuale.

Tuttavia, sebbene il nesso di causalità materiale sia disciplinato anche in materia civile dagli artt. 40 e 41 c.p., le sezioni civili della Cassazione non si sono uniformate all’interpretazione che di  tali norma hanno dato le sezioni penali.

Al contrario, hanno continuato ad affermare che il giudizio controfattuale possa ritenersi soddisfatto, in tema di colpa omissiva, quando si possa ritenere che, in presenza della condotta omessa, il danno avrebbe avuto “serie ed apprezzabili possibilità” di non accadere (Cass. 11-5-2009 n. 10743; Cass. 26.6.2007 n. 14759; Cass., sez. III, 04-03-2004, n. 4400).

Questo “scostamento” tra i criteri di accertamento della causalità omissiva in sede penale rispetto alla sede civile è stato definitivamente sancito dalla importante decisione pronunciata da    Cass. sez. un. 11.1.2008 n. 581, nella quale si è definitivamente stabilito che ai fini del risarcimento del danno il nesso causale tra   una condotta omissiva e l’evento dannoso deve ritenersi sussistente ogni qual volta possa affermarsi, in base alle circostanze del caso concreto, che la condotta alternativa corretta avrebbe impedito l’avverarsi dell’evento con una probabilità superiore al 50%, secondo la regola del “più sì che no”. Quindi, mentre per la Cassazione penale il nesso causale tra omissione ed evento esige l’accertamento che senza l’omissione il danno non si sarebbe verificato “con alta o elevata credibilità razionale”, per la Cassazione civile il nesso causale tra omissione ed evento non esige la certezza assoluta che senza la condotta il danno sarebbe accaduto, ma semplicemente la ragionevole probabilità di ciò. Con l’ulteriore precisazione che una “probabilità ragionevole” non è necessariamente  quella  che  abbia  statisticamente una probabilità di accadimento superiore al 50%, ma è quella da ritenersi tale in base ad una analisi logico deduttiva del  singolo  caso,  e dunque ben potrebbe ritenersi “ragionevole” una probabilità inferiore al 50%.


 

Articolo Tratto dalla Relazione n. 157 del 4.09.2012 della Corte Suprema di Cassazione - Ufficio del Massimario e del Ruolo

“LA RESPONSABILITÀ CIVILE E PENALE DEL CHIRURGO
NELLA GIURISPRUDENZA DI LEGITTIMITÀ” a cura dei Redattori dott. Luigi Cuomo e dott. Marco Rossetti

 

Qui la relazione completa:

CLICCA QUI