La signora PR, di anni 71, nel mese di maggio 2015 si recava presso una struttura sanitaria della sua città per essere sottoposta a rettoscopia.
L’esame era effettuato nonostante le scadenti condizioni di toelette intestinale, e veniva successivamente interrotto a causa della presenza di sangue, nonché di una zona di mucosa rivestita da materiale giallastro e filamento facilmente sanguinante sulla giunzione retto-sigma; nel corso dell’esame di colonscopia era quindi riscontrata la perforazione del retto. Le radiografie e la TAC addominale confermavano un’importante falda aerea estesa e una serie di bolle gassose in sede retro peritoneale, compatibili con la perforazione del retto subita.
PR veniva quindi sottoposta ad un intervento chirurgico - in regime d’urgenza - di laparotomia esplorativa, mediante rettoscopia intraoperatoria, che confermava la perforazione.
Successivamente dimessa, PR giungeva in ambulanza al Pronto Soccorso per sintomi di inappetenza, astenia e dolore agli arti inferiori, avvertiti in seguito all’intervento di ileostomia terminale in fossa iliaca, subito a causa della perforazione.
Il medico curante - a fronte del progressivo deperimento organico con conseguente e rapida perdita di peso (di circa 10 Kg), della progressiva inappetenza e dello stato di denutrizione - consigliava alla paziente di farsi ricoverare.
PR era anche sottoposta a controllo psichiatrico per anomalie comportamentali e spunti autolesivi in condizioni di grave scadimento delle condizioni generali, per aver tentato in modo incongruo di dar fuoco ai mobili; in questa sede, in Anamnesi Patologica Remota emergeva che la paziente, a seguito della perforazione della parete intestinale (riscontrata nel corso dell’intervento di colonscopia) e conseguente colostomia, non aveva accettato il posizionamento della sacca, tanto da mangiare il meno possibile pur di non farla riempire.
La paziente era quindi ritenuta invalida con necessità di assistenza continua, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita.
I figli della signora PR chiedevano quindi l’assistenza e il patrocinio del nostro Studio Legale sottoponendoci il caso e la storia clinica sopra descritta.
Tutta la documentazione medica veniva acquisita dal nostro Studio e sottoposta ai suoi Consulenti che svolgevano una perizia medico legale dalla quale emergeva la responsabilità della struttura sanitaria e dei medici.
Si decideva quindi di proporre Accertamento Tecnico Preventivo (ATP) ante causam ex art. 696 bis c.p.c.
Istruito il procedimento, il Tribunale disponeva Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) che evidenziava come “dall’esame della documentazione emerge come la ricorrente si sia sottoposta a rettoscopia, esame che veniva interrotto a causa della perforazione anteriore del retto, a circa 10 cm dal margine anale, in sede retro peritoneale. Gli operatori professionisti che realizzavano tale intervento, pur constatando sin da subito la presenza di “scadenti condizioni di toelette intestinale”, tali da rendere peggiore ed incerta la visione del viscere, decidevano comunque di proseguire l’esame, assumendosi con imprudenza il rischio di arrecare alla paziente conseguenze negative, come la lesione che di fatto si è concretata a danno della ricorrente durante la manovra colonscopica. La perforazione del retto era complicanza del tutto prevedibile ed evitabile secondo professionale diligenza, in quanto i medici operanti, accortisi sin da subito delle scarse condizioni di visibilità dovute ad una scadente pulizia intestinale, al posto di rimandare l’intervento (peraltro non urgente) ed ottenere, in tal modo, la migliore preparazione possibile del viscere, decidevano imprudentemente di proseguire l’operazione, nonostante fosse loro nota l’eventualità che la stessa avrebbe potuto avere esiti negativi.
I sanitari, pertanto, interrompevano l’intervento colonscopico solo dopo aver causato la perforazione rettale e, quindi, soltanto dopo essere incorsi nella lesione causata dallo strumento endoscopico durante la manovra di avanzamento.
Per tali motivi, vi è evidente ragione di ritenere che il pregiudizio subito dalla ricorrente e le relative conseguenze fisiche e psicologiche dalla stessa patite siano causalmente riconducibili alla malpractice dei medici operanti presso la struttura sanitaria avendo questi ultimi tenuto, senza la dovuta diligenza professionale, una condotta imprudente, astrattamente nonché concretamente idonea a cagionare i danni subiti dalla sig.ra PR accertati sotto il profilo specialistico e medico legale”.
Viste le risultanze della perizia, il nostro Studio Legale ha ottenuto un accordo transattivo che si è concluso in maniera positiva ed estremamente soddisfacente con il riconoscimento della somma di euro 410.000,00 a favore della signora PR.